Siamo sul volo di ritorno, Fez-Orio al serio e in tre ore torneremo tutte alle nostre vite, che in qualche modo si sono messe in pausa per diciotto giorni. Tre ore per cambiare mondo, tre ore per portare un’altra realtà nella “nostra”.
Mentirei a dire che non siano state settimane difficili, ma mentirei anche dicendo che non ce lo aspettavamo, la vita a Meknes non è quella di Milano, ma forse vi stupirà sentire che credo sia la seconda a dover imparare qualcosa dalla prima.
La comunità marocchina ci ha accolto dal primo secondo atterrate sul “loro” suolo, in modo da non farci sentire la mancanza di “casa”.
Non mi sono mai sentita sola, certo ero accompagnata da un gruppo da fare invidia, pieno di empatia e razionalità, il nostro è stato un lavoro di squadra a tutti gli effetti.
Ovviamente le difficoltà sono altre, se in Italia mi sarei sognata di dover litigare con le blatte prima di dormire, a Meknes ci curavamo bene di chiudere le finestre e non lasciare nulla che ne potesse attirare.
Lo shock culturale di non poter stringere la mano a un uomo se non disposto lui, ci ha fatto storcere il naso, lo ammetto, ma non stupire perché purtroppo è un paese che soffre la reputazione di facciata, vi stupirete forse di più a sapere che non mi sono mai sentita sicura a camminare per Milano con solo mie amiche donne, nella Medina lo facevamo tutte le sere.
Per non parlare della minuziosità nell’evitare cibi crudi e acqua corrente (sicuramente un particolare che mi manca dell’Italia).
Scoprire che in realtà fare il bagno in mare praticamente vestite ha i suoi vantaggi, o che la vita cinque volte al giorno si può fermare ad ogni invito alla preghiera. Scioccante.
Ma se fossi potuta rimanere ancora un po’ l’avrei fatto, se mi chiedessero di rifare questa esperienza, ci metterei la firma, nonostante tutti gli inconvenienti incontrati perché quello che porto a casa vale molto di più, non ci provo nemmeno a trasmettere le emozioni che questo viaggio mi ha fatto vivere perché sono soggettive e troppe, per quanto siamo tornate tutte soddisfatte, siamo sei ragazze diverse, partite con background diversi ed è quindi inevitabile che avreste una percezione distorta.
È un paese orgoglioso, rispettoso dei terzi e pieno di caos travolgente. Torno a casa più consapevole, ma anche più bambina, leggera forse, la filosofia dell’Inshallah mi ha travolto.
È un percorso che ti sconvolge, non importa quanto tu possa essere pronto a tutto…non c’entra nulla essere forti o distaccati, non serve nemmeno provare ad esserlo, è un tutto che ti deve travolgere, è quello il bello, rimarrai sconvolto, ma una volta realizzato capirai quanto fosse necessario tutto ciò.
Forse è vero che non è un viaggio adatto ai deboli di cuore, ma non per i motivi sopra elencati, perché quando riparti un pezzo di te lo lasci lì.
È un mondo che ti risucchia, lo chiamano mal d’Africa, confermo che gli occhi spensierati e innocenti di ogni singol* bambin* mi rimarranno impressi a vita, i neonati come i ragazzi più grandi mi hanno trasmesso un qualcosa di indescrivibile ma che spero di riuscire a portare a casa, anche solo in parte.
Torno a casa più consapevole, più leggera ma anche più spaventata perché percepisco il vuoto che ripartendo è nato.
L’unico mio rimpianto è la consapevolezza che mi abbiano insegnato più loro di quanto abbia potuto io, ma aver potuto essere una mano da prendere per attraversare la strada, una vocina che canticchiava prima di dormire, una carezza o anche solo una presenza che si girava quando qualcuno chiamava, spero li abbia fatti sentire ascoltati.
La formazione pre partenza ti prepara alla pratica e forse anche a crearti un’aspettativa, ma non ti anticipa a come ti toccherà questa esperienza, è troppo un punto di domanda per essere conosciuto in anticipo, dipende da come parti, chi sei nel momento in cui decidi di metterti in gioco e non importa quanta consapevolezza tu abbia in partenza, è travolgente a prescindere.
La voglia di tornare a Meknes è tanta, ma anche la voglia di ricercare queste emozioni in altri posti, il mondo è pieno di situazioni simili e una cosa che ho confermato perché è quello che mi ha spinto a partire è il desiderio di fare qualcosa, di essere anche solo una goccia nel mare.
Alyssa Gavezzotti, volontaria