Ci scrive Cinzia dallo Zambia - più precisamente da "Pamodzi Ndi Ana", dove quest'anno OVCI ha raccolto l'invito ad inviare un gruppo di volontari per un'esperienza breve. La proposta del Volontariato breve estivo, infatti, che OVCI lancia dal 1997, ha avuto negli scorsi anni un violento STOP dovuto all'emergenza sanitaria da Covid-19. Quest'anno i ragazzi sono finalmente potuti partire: il primo gruppo per il Brasile e il secondo per lo Zambia, dove si trova tuttora. La meta Ecuador infatti è ancora inaccessibile per esperienze di questo tipo. Per fortuna Simonetta ed Enrico, grandi amici di OVCI, ci sono venuti incontro con la loro ospitalità e i volontari sono quindi finalmente riusciti a coronare il sogno di partire!
Hi! How are you?
È con queste parole che si apre ogni singolo incontro con le persone che incontriamo qui. Come a dire che prima di tutto, prima di entrare in relazione, per loro è importante sapere come tu stia! E quello “you” è proprio un tu, non un voi. Perché è una domanda che viene rivolta singolarmente ad ogni persona presente. Ognuno qui è importante, ha un valore, proprio per quello che è: e chi lo avrebbe mai detto? Spesso è difficile, quasi impossibile da credere, perché in fondo che cosa possiamo realmente fare qui, per queste persone, per i bambini che incontriamo?
Qui forse c’è solo il tempo per sperimentarsi e per scoprirsi lì, senza affanni e allo stesso tempo senza freni: esserci e stare.
Osservare e prendere a poco a poco spazio in questi frammenti di vita, di famiglie che hanno percorso km su km per arrivare al centro, oppure di quelle famiglie che quei km non possono percorrerli e che per questo cerchiamo di raggiungere noi, lungo strade dissestate e che paiono infinite. Qualcosa ci accomuna: la Vita. Anche se questa ha riservato cose diverse a ciascuno di noi. E chi sono io per avere la pretesa di cambiare qualcosa in loro? Ciò che mi salva forse, è sapere che non sono qui per questo. Sono qui perché il nostro stare condiviso non sia per loro una fatica ma un momento leggero e sereno. E nel peso di ciò che i miei occhi vedono e il mio cuore sente, percepisco la leggerezza di donarmi, solo per quello che sono, niente e nessuno mi chiama ad essere altro rispetto a questo.
E poi qui, ognuno ha la propria luce. E non parlo di elettricità, ma di quella luce che agli occhi degli altri ti fa brillare. Ne ho avuto la certezza una sera, quando Jean Van ci ha accolto a casa sua, al buio, tra quattro mura di una casa in costruzione: tutto era LUCE. Avrei passato tutta la sera lì, in silenzio, respirando la pace, assaporando la gioia piena sul suo volto, l’orgoglio nel presentarci i suoi figli, il duro lavoro per arrivare lì, mattone dopo mattone.
Perché qui è tutto così.
Come quando per fare una torta devi montare gli albumi a neve, ma non hai lo sbattitore elettrico. E allora ti armi di forza di volontà, cucchiaio e forchetta e inizi a montare. Ci vuole tempo, ci vuole fatica e pensi a quanto sarebbe più semplice con lo sbattitore, o a quanto sarebbe più semplice rinunciare. Eppure non rinunci, e pangono pangono (piano piano, nella lingua locale) arrivi al tuo obiettivo.
Pensando a questo, ripenso a tutte le fatiche che dei bambini con disabilità gravi e le loro famiglie sperimentano ogni giorno sulla propria pelle, qui, in questa terra dove tutto mi sembra più complesso. E tante volte in questi giorni, il pensiero che queste condizioni di vita, altrove, potrebbero avere un esito differente mi ha ferito, deluso e fatto sentire impotente.
Eppure sui volti di questa gente, non vedo rassegnazione, ma solo una grande forza, un amore o quella che si potrebbe meglio definire come RESILIENZA.
Questo basta per far sì che il mio cuore riprenda a battere ad un ritmo più regolare, assorbendo il più possibile di ciò che qui si respira e vive.
E già sento che un pezzetto del mio cuore metterà radici qui.
Cinzia