“La strada che si percorre è importante, poiché ogni passo ci avvicina all’incontro con l’altro. È per questo che ci siamo messi in viaggio. Quale altro motivo avrebbe potuto indurci ad affrontare fatiche, rischi, scomodità e pericoli?” (Ryszard Kapuscinski, L’altro. Mi ha accompagnata nell’attesa della partenza tanto sognata e, ammettiamolo, un po’ temuta)

Scrivo questo articolo dopo una carica di zuccheri, esattamente dopo una carica di torta al cioccolato preparata da2019 pranzo condiviso R., fisioterapista del centro di Arda, che ha cucinato per il compleanno di S., altra fisioterapista. Sì, perché una delle parole chiavi che voglio imprimere per raccontare la mia esperienza di servizio civile è CONDIVISIONE.

La condivisione a Omdurman è la nostra forza, al lavoro e in casa. Non è un semplice “dividere”, è un CONdividere: spazi, idee, paure, speranze. Con chi? Con i colleghi sudanesi, con le compagne espatriate di OVCI, con le nuove amicizie strette.

Mi piace rappresentare la mia esperienza da servizio civilista, fino ad oggi (dopo 7 mesi di servizio), come l’andamento di un elettrocardiogramma: picchi in alto, picchi in basso, equilibrio.

Partiamo dall’inizio: (prima) partenza . è uscito il bando del Servizio Civile! Migliaia di progetti, quale scegliere? Restringo il campo: OVCI. Cina, Ecuador, Marocco o Sudan? Penso e ripenso, calcoli, pro e contro… mi faccio guidare da ciò che sento: Sudan. Applico per Khartoum.

(Primo) Arrivo: Aeroporto di Khartoum: non ci capisco niente, visti, passaporti, file sbagliate … fortunatamente c’è la mia compagna e in qualche modo, dopo un viaggio lungo, stancante e sudato, riusciamo a uscire. Ci aspettano sorridenti due componenti del team OVCI, nominano vie e aree della città, ma mi sento in una bolla e afferro poco, devo dormire. Qualche ora dopo, apro gli occhi. Sono davvero a Khartoum!

2019 arrivo in riabiliazioneCome ogni inizio, la novità TOTALE può disorientare, ed è quello che è successo a me. Neolaureta in Terapia Occupazionale, mi vedo parte di un team con molti progetti attivi: due centri riabilitativi, orfanotrofi, Riabilitazione su Base Comunitaria, Centro di Formazione Professionale… tutti mi ripetono che ci vuole tempo per ambientarsi e spendersi nei vari ambiti con le proprie competenze PERSONALI, non solamente professionali, ma faccio molta fatica. Ci vuole tempo, ma quanto? Non posso nascondere che i primi mesi sono stati parecchio impegnativi, inoltre la situazione politica del Sudan non ha aiutato, tanto che dopo tre mesi abbiamo vissuto un rientro in Italia forzato per circa due mesi (Proprio quando iniziavo a trovare una mia dimensione). Non voglio focalizzarmi su questo periodo, dirò solo che l’incertezza regnava (il picco dell’elettrocardiogramma era molto basso). Italia, arriva la notizia che si può tornare. Che fare? Ricominciare? Sì, le cose a metà non mi sono mai piaciute.

(Seconda) partenza: Di nuovo aeroporto, voli, scali: Khartoum.

(Secondo) arrivo: il lavoro è tanto, il Sudan è “ferito”, ma una cosa mi ha sconvolto dei sudanesi: la RESILIENZA (ecco la seconda parola chiave). È dai miei colleghi e dalle mie compagne che ho tratto le energie per ripartire, loro sono stati la mia linfa. I pazienti non hanno smesso di venire per i trattamenti, le mamme non hanno smesso di chiamare per i loro bambini, anche dovendo affrontare le lunghe distanze che i mezzi di trasporto coprono molto molto lentamente e con parecchie difficoltà. Sì, perché ogni giorno è una sfida, ogni giorno è una scommessa sull’affrontare i problemi che per me, Kawaja, possono sembrare inezie: piove? Le strade si allagano, si frantumano. Non piove? Il sole ti cuoce. Manca benzina? Non impiegherai mezz’ora dal benzinaio, ma un giorno intero. Bisogna chiamare un paziente? Magari ha il telefono scarico, spesso l’elettricità manca. Fare programmi dettagliati? Impossibile. Inshallah domani ci sarò. Come faccio a esserne certo? Non vedi le circostanze? Non VIVI gli imprevisti? Farò del mio meglio, ma non posso assicurare. Inshallah.

2019 colleghi

Ora, dopo 7 mesi (5 in sede di servizio) mi sento più energica, più attiva, più inserita nelle attività del centro e nella vita al di fuori del lavoro. Perché? Torniamo alla prima parola chiave: condivisione! Perché mi sento in una rete di supporto, dove ognuno è pronto all’ascolto e all’aiuto. Mi si stringe il cuore a vedere i ragazzi più grandi di un orfanotrofio prendersi cura dei compagni disabili, mi si stringe il cuore vedere come vadano a cercarli e a stimolarli: anche una parola o una battuta, quando si è stesi in un letto in una camera buia e soffocante, con dolori, deformità ossee date dal non movimento, impossibilità di FARE, può cambiare tutto. È di questo che ci occupiamo a Khartoum col team OVCI, dell’INCLUSIONE sociale dei bambini con disabilità. Si parla di INCLUSIONE dei bambini disabili nelle scuole e nell’intera comunità. Io, da kawaja (bianca, straniera) sono stata aiutata e INCLUSA: è ciò che insieme al team cerchiamo di ridare a tutti i bambini con disabilità che vengono da noi.

2019 spettacolo

Purtroppo è impossibile descrivere in breve un’esperienza del genere: troppo densa, troppo piena, troppo unica. Fortunatamente ho davanti a me ancora 5 mesi, voglio continuare a imparare, condividere e conoscere l’altro. Sì, perché per conoscere me stessa è necessario un continuo confronto, ed è questa la ragione più forte che mi ha spinto a partire. Crescere CON, imparare DA, SCAMBIARE e INTEGRARE idee e culture

Non posso che ringraziare tutti coloro che mi hanno accolto in Sudan e … avanti il prossimo, il Servizio Civile è una delle sfide più belle su cui si possa scommettere!

Aurora Suma - servizio civile con OVCI in Sudan

 

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